Archivio di febbraio 2025

THE DICTATORS – The Dictators

di Paolo Baiotti

25 febbraio 2025

dictators

THE DICTATORS
THE DICTATORS
Deko 2024

Storica band della scena underground di New York, considerati anticipatori del punk (o proto-punk come Stooges, MC5 e New York Dolls per citarne altri), si sono formati nel ’72 per iniziativa di Andy Shernoff (voce e basso) e Ross “The Boss” Friedman (chitarra solista), ai quali si è unito Scott “Top Ten” Kempner (chitarra ritmica). Questo trio è sempre stato l’anima della band, completata da Stu Boy King alla batteria poi sostituito da Richie Teeter. Nel ’75 si è aggiunto l’ex roadie Handsome Dick Manitoba alla voce, considerato “the secret weapon”, un personaggio della scena musicale della grande mela. Tre album incisi negli anni Settanta di livello notevole, prodotti da Sandy Pearlman e Murray Krugman (il team dei Blue Oyster Cult) sono stati promossi pigramente e ignorati o quasi dal pubblico, ma hanno avuto una notevole influenza su parecchi musicisti. La band si è sciolta alla fine degli anni Settanta riformandosi saltuariamente in alcune occasioni. Nel 2001 esce il quarto album D.F.F.D. seguito nel 2005 dal live Viva Dictators! con J.P. Patterson alla batteria in aggiunta a Manitoba e ai tre fondatori. Dissidi tra il cantante e Shernoff hanno portato a una separazione e alla nascita di The Dictators NYC con Manitoba, Ross e Patterson, un’esperienza durata tre anni con parecchie pause. Infine, nel 2020 Shernoff ha annunciato il ritorno della band con Kempner, Ross The Boss e Albert Bouchard, ex Blue Oyster Cult, alla batteria e voce. Questa formazione ha iniziato a preparare un disco, ma nell’aprile del 2021 Scott ha dovuto lasciare per gravi motivi di salute (purtroppo è mancato nel 2023). Con l’inserimento di Keith Roth (David Johansen, Earl Slick, Cherrie Currie) alla voce e chitarra ritmica si è quindi ripreso il lavoro che ha visto la pubblicazione qualche mese fa del nuovo album The Dictators.
Con Shernoff principale compositore e Roth voce solista in sette brani su dieci (Andy canta due brani, Albert uno), il quartetto sembra rivitalizzato, carico e pieno di energia. Nessun brano sopra i 4’, nessuna ballata, un disco sparato che scorre veloce nei suoi 32’ senza annoiare, confermando la caratura della formazione. L’ironica Let’s Get The Band Back Together è la traccia dalla quale è partita dal reunion, scritta e incisa in demo da Andy e registrata nel 2020 da Shernoff (voce solista), Ross, Scott e Albert, un rock pieno di adrenalina come la trascinante God Damn New York, l’altra canzone registrata da questo quartetto prima del ritiro di Kempner. La cover di Trasmaniacon MC dei Blue Oyster Cult è più dura dell’originale e regge adeguatamente il confronto, mentre tra le altre tracce si distinguono la robusta Secret Cow in cui Roth dimostra le sue doti vocali che richiamano le realtà underground della città, ribadite nella cadenzata All About You, nella dinamica Thank You And Have A Nice Day che dal vivo sarà sicuramente un’occasione di coinvolgere il pubblico e nella chiusura di Sweet Joey, dedicata all’amico Joey Ramone, presenza fissa ai concerti dei Dictators al club Coventry del Queens, come ha ricordato Andy.
Mick Jagger continua a cantare “It’s only rock and roll, but I like it”; i Dictators lo ribadiscono e noi siamo d’accordo con loro.

Paolo Baiotti

MICHAEL SCHENKER – My Years With UFO

di Paolo Baiotti

22 febbraio 2025

michaelschenkermyyearsbetter

MICHAEL SCHENKER
MY YEARS WITH UFO
Edel/Ear Music 2024

È indiscutibile che il periodo trascorso dal chitarrista tedesco Michael Schenker con gli UFO durante gli anni ’70 sia stato uno dei più celebrati almeno in ambito hard rock. Michael aveva solo 18 anni quando nel ’73 fu assunto dalla band britannica che lo aveva ascoltato come chitarrista degli Scorpions dove militava dall’età di 15 anni (!) con il fratello maggiore Rudolf. Un talento esploso in giovane età che non conosceva l’inglese e che ha avuto sempre difficoltà a inserirsi “socialmente” con i colleghi della nuova band, ma che ha dato un contributo indispensabile agli anni migliori degli UFO in cui sono stati registrati dischi in studio come Phenomenon, Force It, No Heavy Petting, Lights Out e Obsession, nonché il seminale doppio live Strangers In The Night, pubblicato quando il lunatico chitarrista aveva già lasciato la band per dedicarsi a una carriera solista che, iniziata bene, è stata caratterizzata da alti e bassi dovuti al carattere e ai limiti del musicista sempre alla ricerca del cantante ideale. Michael torna con gli Ufo nel ’95, registra altri tre album in studio con loro, poi se ne va definitivamente.
Questo nuovo album con il quale intende celebrare i 50 anni della sua collaborazione con la band britannica riprendendo i principali brani del periodo con un bel gruppo di ospiti, può sembrare la classica nostalgica raschiatura del barile ed in effetti lo è. Ma non si può negare che il barile sia bello lucido e luminoso, anche se le nuove registrazioni non possono aggiungere nulla di essenziale a quanto già fatto negli anni giovanili e più creativi, con un cantante di gran classe come Phil Mogg. Se non altro Schenker si circonda di colleghi di alto livello, soprattutto di cantanti che rendono il giusto merito a un repertorio indiscutibilmente valido. Mi sarei aspettato un po’ di fantasia in più negli arrangiamenti che ricalcano sostanzialmente gli originali con qualche variazione nelle parti strumentali. La band di appoggio è formata dagli esperti Derek Sherinian alle tastiere (Dream Theater poi solista), Brian Tichy alla batteria (Pride & Glory, Whitesnake, Billy Idol, Dead Deasies) e Barry Sparks al basso (MSG, Dokken), ai quali si aggiungono gli ospiti. La produzione è curata dallo stesso chitarrista con Michael Voss che ha supervisionato le registrazioni.
Tra gli 11 brani scelti per l’occasione spiccano Natural Thing, che sembra scritta per Dee Snider (Twisted Sister), in cui Michael duetta con Joel Hoekstra (Whitesnake, Cher), una scorrevole Only You Can Rock Me con Roger Glover al basso e Joey Tempest (Europe) alla voce, il classico Doctor Doctor affidato alla voce di Joe Lynn Turner (Deep Purple, Rainbow) e alla potente batteria di Carmine Appice (Vanilla Fudge, Rod Stewart), una sontuosa Mother Mary con la potente voce di Erik Gronwall (Heat, Skid Row) e un intenso dialogo con la chitarra di Slash, This Kids affidata all’esperto Byff Byford (Saxon) con le tastiere di Sherinian in primo piano, la maestosa ballata Love To Love che vede impegnato l’inconfondibile Axl Rose dopo l’intro in crescendo di tastiere e chitarra e l’energica Lights Out assegnata al ruvido Jeff Scott Soto (Malmsteen, Axel Rudi Pell) con John Norum (Europe) alla seconda chitarra. Una citazione a parte la merita l’immancabile Rock Bottom, un vero tour de force per Michael impegnato in una cavalcata chitarristica nel break centrale dove ha sempre dato il meglio, sin dall’insuperabile versione di Strangers In The Night, mentre alla voce si disimpegna con qualche difficoltà il connazionale Kai Hansen (Helloween).
Probabilmente My Years With Ufo è un’aggiunta superflua alla corposa discografia del chitarrista di Sarstedt, se non per gli appassionati più fedeli, ma può servire anche come primo approccio per chi non sia familiare con gli UFO dei seventies.

Paolo Baiotti

AA.VV. – PETTY COUNTRY – A Country Music Celebration of Tom Petty

di Paolo Baiotti

14 febbraio 2025

petty

AUTORI VARI
PETTY COUNTRY – A COUNTRY MUSIC CELEBRATION OF TOM PETTY
Big Machine 2024

Sulla carta l’idea di un tributo di musicisti country alla musica di Tom Petty sembrava una buona idea. In fondo sullo sfondo del rock del musicista di Gainsville c’è sempre stata un’influenza country, specialmente se guardiamo agli anni della maturità, sia da solista che con i Mudcrutch, per non parlare della memorabile collaborazione con Johnny Cash negli American Recordings. Se aggiungiamo che il disco è stato autorizzato e supportato dalla famiglia e dagli Heartbreakers (Tench e Campbell hanno collaborato), nonché prodotto da George Drakoulias e Randall Poster che hanno lavorato con Petty, le premesse erano ottime. Ma il problema di questi tributi, specialmente se pubblicati da etichette di una certa dimensione, è la scelta degli artisti che si orienta, almeno in parte, su nomi conosciuti e seguiti da un pubblico generalista.
Così abbiamo interpretazioni che non aggiungono nulla a brani come Wildflowers (Thomas Rhett), Running Down A Dream (Luke Combs), American Girl (Dierks Bentley), You Wreck Me (George Strait), Free Fallin’ (The Cadillac Three) o Learning To Fly (Ely Young Band), anzi annullano quella sensazione di leggerezza e fragilità che è una delle caratteristiche di Tom Petty e delle sue splendide canzoni.
Tra le 20 esecuzioni non mancano momenti riusciti come l’energica I Should Have Known It di Chris Stapleton, la sommessa I Forgive It All di Jamey Johnson, una spedita Refugee di Wynonna Judd con Lainey Wilson, Angel Dream (No. 2) dell’impeccabile Willie Nelson con il figlio Lukas e Ways To Be Wicked, che Tom affidò ai Lone Justice, in cui Margo Price è affiancata da Mike Campbell. Anche i Midland con una potente e chitarristica Mary Jane’s Last Dance, Steve Earle con Yer So Bad e Marty Stuart con I Need To Know fanno la loro figura, mentre l’interpretazione più coraggiosa è sicuramente Don’t Come Around Here No More di Rhiannon Giddens affiancata dalla Silkroad Ensemble e da Benmont Tench.
In conclusione, Petty Country, pubblicato in cd e in doppio vinile anche colorato, è un disco alterno per i motivi sopra indicati e lascia l’impressione di un’occasione sfruttata solo in parte di interpretare non solo la musica, ma anche lo spirito di Tom e dei suoi Heartbreakers.

Paolo Baiotti

KEVIN KASTNING – Partitas, Book 1/Triple Helix (with Carl Clements & Soheil Peyghambari)

di Paolo Crazy Carnevale

13 febbraio 2025

Partitas, Book 1  - album cover

Kevin Kastning & Carl Clements – Partitas, Book 1 (Greydisc 2024)

Kevin Kastning, Carl Clements, Soheil Peyghambari – Triple Helix (Greydisc 2024)

Prolifico come pochi, Kevin Kastning è un chitarrista rispettato nel circuito jazz/fusion, laddove la fusione avviene con ogni genere di musica, ma in particolare con attenzione agli stilemi della musica classica, da camera in particolare visto che Kastning, diplomato alla Berklee School of Music e allievo di Pat Metheny, concentra la sua produzione – che ormai ha superato i cinquanta album – in progetti come solista come sparring partner in formazioni a due o tre elementi.
In questo caso, a condividere il disco con lui c’è Carl Clements, sassofonista, flautista e compositore del Massachusetts dalla multiforme carriera.
Non è la prima volta che i due s’incontrano in studio, si tratta del settimo disco insieme visto che la collaborazione è cominciata nel 2012 avevano prodotto il disco Dreaming As I Knew. Accolto con recensioni positive: “Insieme, – DPRP Magazine – scriveva la rivista olandese Kevin e Carl creano dolci escursioni di bellezza intrecciata che, come indicato in precedenza, pur avendo una qualità profondamente onirica in linea con il titolo dell’album, sono anche molto intricate nella costruzione.”
Senza contare i dischi in trio in cui i due collaborano col chitarrista magiaro Sandor Szabo.
Il nuovo disco mette sul piatto una serie di sette composizioni, tutte indicate col nome Partita, intesa come partitura, proprio come nella musica classica, con conseguente numerazione a seconda degli strumenti usati.
Kestning fa uso delle sue chitarre a più corde imbracciate verticalmente, talvolta di sua invenzione e con addirittura due manici, siano esse diciassette, diciotto, ventiquattro o addirittura trenta, con conseguenti effetti sonori; Clements vi ricama sopra con i suoi sax, soprano, tenore e contralto.
A pochi mesi di distanza è stato pubblicato, sempre da Greydisc un nuovo tassello delle visioni musicali di Kastning e Clements, stavolta in versione trio con l’aggiunta di Soheil Peyghambari, sassofonista e clarinettista iraniano, componente del Quartet Diminished, di cui ci siamo occupati recentemente.
L’inserimento di un altro artista e di un altro strumento ammorbidiscono il suono finale del connubio, Clements e Peyghambari scaldano l’atmosfera e l’ultimo tinteggia di oriente il tutto con atmosfere da mille e una notte.

Paolo Crazy Carnevale

Triple Helix - album cover