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CHARLIE OVERBEY – In Good Company

di Paolo Baiotti

22 gennaio 2025

CHARLIE

CHARLIE OVERBEY
IN GOOD COMPANY
Autoprodotto 2024

Le buone compagnie servono sempre, specialmente se sei un musicista ed hai avuto la fortuna e la bravura di supportare artisti più conosciuti che ti hanno preso in simpatia. Charlie Overbey, californiano di Los Angeles da tempo residente in New Mexico, è legato alla tradizione musicale del sud trasmessa dai genitori appassionati di country più o meno classico. Come succede a molti adolescenti, ha rifiutato queste influenze appassionandosi al punk; poi è gradatamente tornato alle radici nel corso della sua carriera iniziata con la band cowpunk Custom Made Scare che ha firmato alla fine degli anni Novanta per la Side One Dummy, sciogliendosi prima di registrare un disco. Dopo esperienze di vario genere (compreso un anno in carcere) ha pubblicato l’Ep The California Kid nel 2015 e l’album Broken Arrow nel 2018, supportando artisti di diverso genere, tra i quali Blackberry Smoke, ZZ Top, Foo Fighters, Motorhead e David Allan Coe. Artista a 360° ha creato anche una linea di cappelli fatti a mano (Lone Hawk Hats) molto in voga tra i musicisti, a prezzi non alla portata di tutti che è la sua principale fonte di guadagno.
In Good Company è il terzo album da solista che, fedele al titolo, lo vede in compagnia di ospiti prestigiosi che lo affiancano senza peraltro togliergli la centralità nel progetto al quale apporta chitarra acustica, batteria e una voce solida che nei brani più vicini al country ricorda Waylon Jennings. Gli altri musicisti della band coinvolti nelle registrazioni sono Corey McCormick al basso e Kyle Tormey al piano. Il disco presenta una scaletta di dieci brani autografi scritti in periodi diversi e ha un tiro più vicino al roots-rock che al country, con un suono vigoroso.
Nell’opener Punk Rock Spy, un rock and roll stonesiano che si avvale di un’armonica abrasiva e della chitarra di Stuart Mathis, l’artista si descrive “The punk rock spy in the house of the honky tonk heaven” e dichiara “I got a punk rock heart but the punk and the honky go together”, una descrizione del suo modo di essere. Champagne, Cocaine, Cadillacs & Cash è un country-rock in cui collaborano Marcus King (tastiere e chitarra) e Jaimee Wyatt alla voce. Il mid-tempo rock Struck In This Town ricorda il New Jersey sound con una voce alla Southside Johnny e la chitarra di Chris Masterson (Son Volt, Steve Earle), mentre The Innocence evoca influenze springsteeniane non solo per la presenza di Nils Lofren (voce e chitarra), al quale si aggiunge Rami Jaffee (Wallflowers, Foo Fighters) alle tastiere. Non mancano un paio di ballate come Dear Captain venata di gospel con la slide di Johnny Stachella e il country Miss Me in cui spicca la pedal steel di Jon Graboff. Tra gli altri brani segnalerei l’accattivante roots-rock If We Ever Get Out con Charlie Starr (Blackberry Smoke) e l’intensa Life Of Rock & Roll, secondo singolo d’impronta southern con la chitarra di Duane Betts e la voce ai cori di Eddie Spaghetti, mentre la chiusura è affidata alla breve Two Minute Marvin, la traccia più country del disco.

Paolo Baiotti

CHARLIE OVERBEY – Broken Arrow

di Paolo Crazy Carnevale

30 gennaio 2019

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CHARLIE OVERBEY – Broken Arrow (Lone Hawk Records 2018)

Seconda brillante prova solista per Charlie Overbey, singer/songwriter californiano praticamente sconosciuto al di qua dell’Oceano, ma non per questo trascurabile! Dopo l’EP del 2015 intitolato California Kid inciso a nome Charlie Overbey & The Broken Arrow, il nostro ci riprova, stavolta con un LP intero, dieci brani di cui nessuno meno che bello.

Overbey non è un novellino, le ossa se le è fatte suonando dal vivo in diverse formazioni, aprendo per gente di grido come Motorhead, Blackberry Smoke, Supersuckers, David Allen Coe, e il suo songwriting è puro, schietto, nella miglior tradizione country rock, ma con un occhio sempre rivolto anche alla scuola di gente come Tom Petty e Bruce Springsteen, mescolati sapientemente con la scuola sudista e con quella californiana. A questo si aggiunga la sapiente produzione di un marpione come Ted Hutt (vincitore di Grammy Award e seduto in regia con Old Crow Medicine Show, Gaslight Anthem, Lucero, Flogging Molly)

Il risultato è un disco che lascia a bocca aperta, Overbey – lo si capisce fin dalla copertina – è l’epigono di tutti i desperados – la sua voce è matura, con quella punta di raucedine che non guasta, la vena compositiva è felice, per non dire felicissima, il sound equilibrato non perde mai di vista nessuno degli elementi che lo compongono, quando la voce sembra rifarsi al “boss” più tipico ecco che la pedal steel di Matt Pynn comincia a ricamare interventi che sembrano balzare direttamente da Sweeteheart Of The Rodeo e da tutti i bei dischi californiani di cui il disco dei Byrds è stato il progenitore, e poi chitarre ululanti quando serve, duetti intriganti con le voci di Miranda Lee Richards e dei Mastersons. Non solo, quando serve, Overbey e la sua accolita di compagnoni (di fatto i Broken Arrows che lo accompagnano dal vivo) riescono a sfoderare atmosfere più raccolte, quasi acustiche.

Grande già il primo brano, Slip Away, con la voce della Richards a doppiare il titolare: da notare che la cantante è praticamente parte dei Broken Arrow on stage quando non si occupa della propria carriera solista. Che dire poi di Shame, altra composizione notevole dal robusto refrain e dall’interpretazione vocale particolarmente azzeccata. In Outlaws Overbey si supera, sfornando un brano di facile presa in cui a duettare con lui ci sono i Mastersons (al secolo Chris Masterson e Eleanor Whitmore, a loro volta parte anche dei Dukes di Steve Earle). Heaven Only Knows rientra ai brani dall’atmosfera più raccolta, mentre il brano che chiude il primo lato dell’edizione in vinile è The Ballad Of Eddie Spaghetti dedicata all’amico eponimo, cantante dei Supersuckers ed ospite nel brano: un altro colpo messo a segno con un’apertura di pedal steel degna del miglior Sneaky Pete o di uno qualunque dei suoi migliori emuli.

Non c’è tempo per distrarsi, appena girato il disco sul vecchio Thorens, ecco un altro brano da ricordare, Trouble Likes Me Best, di nuovo con le voci dei Matersons ma stavolta nella scia degli outlaws nashvilliani, sia per l’approccio vocale che per le tematiche. Hero In Town è un’altra dolente ballata acustica con la pedal steel in sottofondo, nella stessa onda si insinua anche This Old House. I cinque minuti dell’intensa Echo Park, sono pura poesia rock, con la voce in tiro e la miscela di suoni che viene sottolineata dall’organo di Jason Soda mentre le chitarre si scambiano parti diverse con sonorità personalissime. Il finale è affidato ad un’indovinata farewell song intitolata Last Deep Breath, lenta e dondolante, degna conclusione di un disco che non delude mai.