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LUCA & THE TAUTOLOGISTS – Poetry In The Mean-Time/Suddenly Last Summer

di Paolo Baiotti

19 gennaio 2025

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Non teme di esagerare Luca Andrea Crippa, cantautore e chitarrista lombardo che a un anno o poco più di distanza da Paris Airport ’77 (ne abbiamo scritto qui http://www.lateforthesky.org/2023/11/ ) si ripropone con un album e un ep pubblicati a breve distanza l’uno dall’altro, frutto di un periodo di evidente ispirazione in direzioni diverse. Infatti, i due dischi rappresentano aspetti distinti della scrittura di Luca: l’ep registrato a luglio al Niton Lab Studio di Varese privilegia tracce oscure, notturne e sognanti, canzoni d’amore curate nella produzione con qualche elemento di elettronica, mentre l’album inciso ad agosto al Trai Studio di Inzago è fresco, poetico e diretto con qualche oasi acustica e un suono roots. In entrambi i dischi, che si distaccano come già Paris Airport ’77 dal rock-blues di precedenti registrazioni dell’artista con Ruben Minuto, dal southern-rock dei Saturday Night Special e dall’alternative country dei No Rolling Back, Luca (voce, chitarre e lap steel) è accompagnato dalla brillante sezione ritmica di Deneb Bucella (batteria) e Paolo Roscio (basso).
Partendo da Poetry In The Mean-Time, la copertina (un pregevole disegno di Stefano Bonora) e l’album sono ispirati da una foto vintage di un incidente accaduto durante le riprese del film horror di culto “The Creature Of The Black Lagoon” con Julie Adams al quale è direttamente collegata la canzone Julie Hit Her Head, caratterizzata da un’intro strumentale funkeggiante, una voce sussurrata, un lavoro notevole di basso e batteria e numerosi cambi di ritmo. Tra gli altri brani emergono l’apertura melodica di Tall Building Shapes, l’accattivante Breakwaters Ballroom con una chitarra knopfleriana, My Friend’s Old Blues Still Rocks tra JJ Cale e Steely Dan, il nervoso strumentale Modern Galleries spruzzato di jazz-rock e la raffinata Our Magic Wand. La voce di Luca a tratti sembra mancare di un pizzico di energia, a differenza delle parti strumentali.

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Quanto a Suddently Last Summer, quattro brani nella versione digitale, sei in quella fisica su cd, apre la notturna e sommessa At The Movies che sfocia in un riuscito assolo di chitarra, seguita dalla lenta Mystery…The Greatest, traccia sognante spruzzata di elettronica. Tra prog e fusion si prosegue con Different Paths e Night Green, per giungere all’orientaleggiante Indian Summer che precede la chiusura mossa di They’re Landin’ In Hawaii, venata di prog nel fulgido finale chitarristico.

Paolo Baiotti

LUCA & THE TAUTOLOGISTS – Paris Airport 77

di Paolo Baiotti

13 novembre 2023

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LUCA & THE TAUTOLOGISTS
PARIS AIRPORT ‘77
RecLab/Ird 2023

Nelle sue sette vite musicali (o forse sono di più) Luca Andrea Crippa ha collaborato con artisti internazionali (Don DiLego, Damon Fowler, Baby Gramps, Jonny Kaplan), ha fatto per cinque anni il promoter con lo pseudonimo Curtis Loew (scelto non a caso…), ha inciso una manciata di dischi come chitarrista, arrangiatore e produttore con Ruben Minuto e suonato per anni nella piu longeva tribute band italiana dei Lynyrd Skynyrd (Mr Saturday Night Special) e in una band di alternative country (No Rolling Back). Alla fine è giunto finalmente il momento dell’esordio come solista avendo già pronti più di 40 brani per completare una tetralogia (!). Per questa occasione speciale Luca (voce e chitarre di ogni tipo) si è appoggiato a dei veri amici oltre che valenti colleghi: Ruben Minuto che stavolta si disimpegna prevalentemente al basso lasciando il ruolo di chitarrista a Leandro Diana e Daneb Bucella alla batteria sono i Tautologists, con la valente assistenza di Riccardo Maccabruni alle tastiere.
Registrato in pochi caldi giorni di luglio nei RecLab Studios di Larsen Premoli e prodotto da Crippa, Paris Airport’77 è un disco corposo di 14 tracce (compresa una mini suite in tre parti) in cui viene riassunto il percorso musicale dell’autore, da sempre vicino a un suono rock di matrice americana qui riproposto in un modo particolare, senza ricalcare schemi prevedibili o prefissati che si ricolleghino alle sue passioni (southern e country rock), con una certa fantasia e arrangiamenti molto curati anche nei particolari.
La title track posta in apertura si distende scorrevole grazie a una melodia ben definita, con la voce che richiama Mike Scott dei Waterboys e una ritmica in cui è accentuato il ruolo della batteria, prima dello spazio per gli assoli di Ruben (di stampo southern), Riccardo e Luca (più intimista). Il melodico tempo medio Dreams Become Promises ha una sorprendente accelerazione finale che precede la prima parte di Things Get Their Name From A Spell con la voce bassa narrante di Luca che si apre nel finale ad un’altra accelerazione, mentre solo nella terza parte le chitarre si lasceranno andare. Nel prosieguo spiccano l’immediata e nostalgica There’s A Time That Never Ends, primo singolo dell’album, la raffinata Undelivering con il piano in evidenza, la ballata intima Is It All That I Learnt e la grintosa The Man In The Wool Overcoat, mentre non mi convince l’oscura e anomala Winter Heights And My Falldowns ammantata dai suoni programmati di Zowa.
Nella parte finale che forse si sarebbe giovata di qualche taglio emerge From Dawn Till Late, un soave inno alla musica e alle buone vibrazioni.

Paolo Baiotti