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MICHAEL SCHENKER – My Years With UFO

di Paolo Baiotti

22 febbraio 2025

michaelschenkermyyearsbetter

MICHAEL SCHENKER
MY YEARS WITH UFO
Edel/Ear Music 2024

È indiscutibile che il periodo trascorso dal chitarrista tedesco Michael Schenker con gli UFO durante gli anni ’70 sia stato uno dei più celebrati almeno in ambito hard rock. Michael aveva solo 18 anni quando nel ’73 fu assunto dalla band britannica che lo aveva ascoltato come chitarrista degli Scorpions dove militava dall’età di 15 anni (!) con il fratello maggiore Rudolf. Un talento esploso in giovane età che non conosceva l’inglese e che ha avuto sempre difficoltà a inserirsi “socialmente” con i colleghi della nuova band, ma che ha dato un contributo indispensabile agli anni migliori degli UFO in cui sono stati registrati dischi in studio come Phenomenon, Force It, No Heavy Petting, Lights Out e Obsession, nonché il seminale doppio live Strangers In The Night, pubblicato quando il lunatico chitarrista aveva già lasciato la band per dedicarsi a una carriera solista che, iniziata bene, è stata caratterizzata da alti e bassi dovuti al carattere e ai limiti del musicista sempre alla ricerca del cantante ideale. Michael torna con gli Ufo nel ’95, registra altri tre album in studio con loro, poi se ne va definitivamente.
Questo nuovo album con il quale intende celebrare i 50 anni della sua collaborazione con la band britannica riprendendo i principali brani del periodo con un bel gruppo di ospiti, può sembrare la classica nostalgica raschiatura del barile ed in effetti lo è. Ma non si può negare che il barile sia bello lucido e luminoso, anche se le nuove registrazioni non possono aggiungere nulla di essenziale a quanto già fatto negli anni giovanili e più creativi, con un cantante di gran classe come Phil Mogg. Se non altro Schenker si circonda di colleghi di alto livello, soprattutto di cantanti che rendono il giusto merito a un repertorio indiscutibilmente valido. Mi sarei aspettato un po’ di fantasia in più negli arrangiamenti che ricalcano sostanzialmente gli originali con qualche variazione nelle parti strumentali. La band di appoggio è formata dagli esperti Derek Sherinian alle tastiere (Dream Theater poi solista), Brian Tichy alla batteria (Pride & Glory, Whitesnake, Billy Idol, Dead Deasies) e Barry Sparks al basso (MSG, Dokken), ai quali si aggiungono gli ospiti. La produzione è curata dallo stesso chitarrista con Michael Voss che ha supervisionato le registrazioni.
Tra gli 11 brani scelti per l’occasione spiccano Natural Thing, che sembra scritta per Dee Snider (Twisted Sister), in cui Michael duetta con Joel Hoekstra (Whitesnake, Cher), una scorrevole Only You Can Rock Me con Roger Glover al basso e Joey Tempest (Europe) alla voce, il classico Doctor Doctor affidato alla voce di Joe Lynn Turner (Deep Purple, Rainbow) e alla potente batteria di Carmine Appice (Vanilla Fudge, Rod Stewart), una sontuosa Mother Mary con la potente voce di Erik Gronwall (Heat, Skid Row) e un intenso dialogo con la chitarra di Slash, This Kids affidata all’esperto Byff Byford (Saxon) con le tastiere di Sherinian in primo piano, la maestosa ballata Love To Love che vede impegnato l’inconfondibile Axl Rose dopo l’intro in crescendo di tastiere e chitarra e l’energica Lights Out assegnata al ruvido Jeff Scott Soto (Malmsteen, Axel Rudi Pell) con John Norum (Europe) alla seconda chitarra. Una citazione a parte la merita l’immancabile Rock Bottom, un vero tour de force per Michael impegnato in una cavalcata chitarristica nel break centrale dove ha sempre dato il meglio, sin dall’insuperabile versione di Strangers In The Night, mentre alla voce si disimpegna con qualche difficoltà il connazionale Kai Hansen (Helloween).
Probabilmente My Years With Ufo è un’aggiunta superflua alla corposa discografia del chitarrista di Sarstedt, se non per gli appassionati più fedeli, ma può servire anche come primo approccio per chi non sia familiare con gli UFO dei seventies.

Paolo Baiotti

MICHAEL SCHENKER – Bridge The Gap

di Paolo Baiotti

9 febbraio 2014

Cover Schenker (Bridge The Gap) Solo

MICHAEL SCHENKER
BRIDGE THE GAP
2013 Inakustik

Ha appena compiuto 59 anni il biondo chitarrista tedesco che a soli 17 anni partecipò a Lonesome Crow, album d’esordio degli Scorpions, prima di essere notato dagli Ufo durante il successivo tour americano. Sono lontani i gloriosi e turbolenti anni trascorsi con gli Ufo che hanno prodotto dischi storici come Obsession e Strangers In the Night, le fughe improvvise e i ritorni nella band fino all’addio del ’79 per rientrare provvisoriamente negli Scorpions (in tempo per partecipare in modo decisivo a Lovedrive) e poi avviare una carriera solista inizialmente piena di soddisfazioni. Oggi Schenker continua ad essere ammirato da molti chitarristi e mantiene uno zoccolo duro di appassionati, ma come tanti musicisti degli anni settanta vive soprattutto sulle glorie passate, come dimostrano le scalette dei concerti infarcite di brani delle band sopra citate. Tuttavia Michael non rinuncia a pubblicare nuovo materiale: dopo il Michael Schenker Group, la nuova band si chiama Temple Of Rock e comprende due ex Scorpions, il bassista Francis Buchholz e il batterista Herman Rarebell, oltre al tastierista/chitarrista Wayne Findlay e al cantante scozzese Doogie White, ennesimo vocalist scelto dall’imprevedibile musicista. Dopo l’omonimo album e il doppio Live In Europe, la formazione pubblica Bridge The Gap, ennesimo disco di hard rock classico in linea con la tradizione schenkeriana. Un buon disco, potente ed energico, tutto giocato su tempi veloci o medi, senza tregua ma con un occhio attento alla melodia. White è un buon cantante, che può ricordare il grande Ronnie James Dio o Biff Byford voce dei Saxon, adatto al materiale scritto da Schenker. Il dischetto inizia con l’intro strumentale di Neptune Rising che sfuma nella drammatica Where The Wild Winds Blow, caratterizzata da un intro arabeggiante e da un break acustico. Il riff epico di Lord Of The Lost And Lonely, il mid-tempo maestoso di To Live For The King con un bel finale di chitarra solista, la cadenzata Temple Of The Holy tra Rainbow e Dio con un altro assolo orientaleggiante serrato e incisivo (che deve qualcosa a Ritchie Blackmore), l’evocativa Shine On e l’avvolgente Black Moon Rising si fanno apprezzare, mentre non lasciano traccia le frenetiche Rock And Roll Symphony, Land Of Thunder (vicina al suono dei Saxon) e Because You Lied. Dopo tre quarti d’ora di rock duro l’unica pausa acustica è riservata a chi acquista la deluxe edition che, oltre a una confezione in digipack rigido, comprende la bonus track acustica Faith, cantata da Don Dokken.